
PATOLOGIE TRATTATE
Neoplasie Colon e Retto
Un sanguinamento dall’intestino può essere nella maggior parte delle volte dovuto a perdite dal plesso emorroidario o da altre patologie (Diverticolosi, Ragadi, Etc.) ma la regola prevede che prima di pensare ad una situazione benigna bisogna escludere una patologia Maligna.
Una Visita Chirurgica può indirizzare verso la patologia più probabile escludendone altre, soprattutto quella più infausta del TUMORE DEL COLON e DEL RETTO.
Il Tumore del Colon – Retto
Le Neoplasie del Colon e del Retto (note come CRC, dall’Inglese ColoRectal Cancer) sono tumori che colpiscono il Grande Intestino. Anatomicamente esso viene diviso in diverse parti (Colon Ascendente, o destro, Colon Trasverso, Colon Discendente, o sinistro, Sigma e Retto).
E’ un tumore molto diffuso che si colloca al primo posto come incidenza in Italia (nel 2014 furono 52.000 le diagnosi) ed al secondo come numero di decessi annuali.
Nella maggior parte dei casi il tumore si sviluppa a partenza da un polipo, una neoformazione della mucosa intestinale, nata dalle proliferazione delle cellule della mucosa stessa.
In particolare i polipi definiti “Adenomatosi” possono gradualmente crescere con delle alterazioni che portano al tumore che pertanto è più probabile quanto più tempo il polipo ha avuto la possibilità di rimanere indisturbato.
Dagli inizi del 2000 in Italia è stata adottata una politica di Screening mediante ricerca del Sangue Occulto Fecale (SOF) e Colonscopia nei pazienti a rischio che sta mostrando i primi effetti con una decelerazione dell’aumento dei nuovi casi. Infatti con queste due metodiche è possibile individuare microperdite di sangue che portano all’esecuzione di una colonscopia con la quale è possibile rinvenire il polipo ed asportarlo totalmente o parzialmente per avviare uno studio istologico della sua natura.
Una volta evidenziato il tumore o asportato un polipo cancerizzato la scelta della strategia di cura diviene essenziale.
Tumore del Colon
Nel caso di tumori del Colon fino al Sigma (Destro, Trasverso, Sinistro e Sigmoideo) in genere si procede direttamente all’intervento chirurgico di asportazione del tratto di intestino interessato e dei linfonodi ad esso collegati.
E’ solo al termine dell’intervento con l’esame istologico completo del colon asportato che è possibile avere una diagnosi completa ed intraprendere una terapia adiuvante (Chemioterapia) oppure un programma di controllo nel tempo.
Tumore del Retto
Nel caso di tumori al Retto invece una diagnosi preoperatoria dello spessore della malattia porta ad una eventuale decisione di pre-trattare il paziente con Chemioterapia e Radioterapia poiché ciò porta ad un miglioramento della prognosi del paziente.
Dopo l’esecuzione della terapia Preoperatoria (Neo-Adiuvante) il paziente nella stragrande maggioranza dei casi verrà sottoposto ad intervento chirurgico.
Intervento Chirurgico
Per quanto riguarda i tumori del Colon l’unica novità di rilievo degli ultimi anni è la possibilità di operarli per via laparoscopica e robotica. Sebbene la letteratura ha solo dimostrato uguale efficacia dell’intervento “aperto” con le tecniche mininvasive fattori come la più rapida ripresa, la riduzione delle complicanze a lungo termine (aderenze, ernie, etc) ed i fattori estetici fanno propendere per l’utilizzo di tecniche mininvasive ogni qualvolta vi sia la possibilità di eseguirle.
Nei tumori del Retto le tecniche hanno invece avuto grande evoluzione negli ultimi anni per ridurre al minimo le complicanze postoperatorie di interventi eseguiti a ridosso degli sfinteri che portano a volte ad incontinenze.
Cosa fare dopo la Diagnosi
Da quello che si è scritto si comprende come la diagnosi di Tumore del Colon Retto non sia la fine ma l’inizio di un percorso che richiede il giusto Team per studiare la strategia migliore adattandola al paziente ed alla malattia.
La nostra Equipe è in grado di offrirti le migliori tecniche operatorie. Prenota una Visita o una Second Opinion.
Calcolosi colecisti e Litiasi della Via Biliare
Se ti è stata diagnosticata la presenza di Calcoli alla Cistifellea o se hai il sospetto di averli (Maldigestione accompagnata da dolore nella regione del fegato) è importante Consultare un Chirurgo che possa spiegarti le possibili alternative di trattamento.
Spesso i pazienti vivono questa situazione senza avere informazioni corrette e temendo l’intervento chirurgico.
La diffusione dell’ecografia come metodo diagnostico ha fatto incrementare le diagnosi di Litiasi Biliare (LB), spesso asintomatiche.
E’ sempre più frequente infatti che nei nostri ambulatori si presenti un paziente che, in seguito ad ecografia eseguita per dolori addominali aspecifici o altro, si accorga di avere dei calcoli alla cistifellea o alla via biliare.
Si apre a questo punto il dubbio su come procedere: operare anche senza sintomi per evitare spiacevoli complicanze future? Attendere alla comparsa dei primi sintomi?
La gestione medica di questa condizione è altamente variabile e negli anni si sono tentate diverse strade per creare delle linee guida che potessero indirizzare medici e pazienti verso un univoco comportamento.
La Litiasi Biliare è una situazione molto frequente, soprattutto nei paesi occidentali dove può arrivare ad interessare il 10-15% della popolazione adulta (>18 anni).
DIAGNOSI
Come accennato prima la diagnosi è spessissimo eseguita in seguito ad ecografia addominale ma il sospetto può venire in seguito a sintomi (più frequentemente dolori sotto il costato a dx dopo l’alimentazione, dolori sotto lo sterno) o a segni (elevazione degli indici di funzionalità epatica come SGOT, SGPT, ALT, AST, GGT).
Altri metodi più sofisticati sono utilizzati invece per confermare la diagnosi e/o la sede dei calcoli (Colangio Risonanza Magnetica Nucleare) o per confermare ed eventualmente trattare alcune forme di calcolosi (Eco-Endoscopia Digestiva e ColangioPancreatografia Retrograda Endoscopica).
TERAPIA
Una volta esclusi sintomi anche subdolil nella litiasi biliare asintomatica il giusto comportamento è quello di rassicurare il paziente che il trattamento si renderà necessario se sorgeranno sintomi “addestrandolo” a riconoscerli. Non vi sono dimostrazioni che la presenza di calcoli porti alla formazione di tumori.
Se invece siamo di fronte ad una calcolosi della colecisti sintomatica l’indicazione è quella di eseguire una Colecistectomia Laparoscopica. Se ci troviamo alla presenza di calcoli anche nelle vie biliari bisognerà procedere prima ad una bonifica attraverso esame endoscopico e successivamente (o contemporaneamente con la metodica del rendez vous) si deve procedere a colecistectomia.
Gli interventi possono essere eseguiti in Day Hospital o in regime di One Night Surgery.
Nei pazienti con Colecistite Acuta invece le raccomandazioni prevedono che l’intervento venga eseguito entro 72 ore per evitare di incorrere in complicanze. Se si tratta di pazienti non sottoponibili ad intervento chirurgico immediato per altre patologie concomitanti si privilegia un intervento ecografico di drenaggio: mediante il puntamento ecografico si procede ad inserimento di drenaggio nella cistifellea, in anestesia locale, attraverso la cute.
Dopo la risoluzione delle altre patologie si riprenderà in considerazione l’intervento.
Dopo l’intervento i pazienti possono riprendere la normale alimentazione entro le 24 ore utilizzando anche i cibi che prima causavano sintomi.
Ernie Inguinali ed altre ernie di parete (ernie ombelicali, epigastriche, lomboceli)
Se notate una tumefazione nella regione inguinale o in altre zone dell’addome che sembrano fuoriuscire dopo sforzi è probabile voi abbiate un’ernia.
Una Valutazione Chirurgica con Ecografia può dirimere i dubbi e spiegarvi le Soluzioni Chirurgiche e non più innovative e meno invasive.
COSA SONO?
Le ernie rappresentano una fuoriuscita di un organo o di un tessuto dalla cavità che normalmente li contiene attraverso una porta, che abitualmente è di dimensioni così ridotte da non permetterne il passaggio.
Nel corpo umano esistono diverse “porte” soprattutto a livello addominale dove la pressione degli organi e tessuti tende ad “allargare” ciò che sono passaggi naturali.
Le più note sono le Ernie Inguinali, che ripercorrono il decorso dei testicoli (ernia indirette) oppure allargano tratti di parete deboli per passaggi di vasi (ernia crurali) o per carenza di muscolatura (ernie dirette).
Le Ernie Ombelicali sono invece localizzate alla cicatrice ombelicale, altra zona debole per carenza muscolare e sottoposta a pressione durante situazioni fisiologiche (gravidanze) o parafisiologiche (obesità).
Esistono poi tutta una serie di ernie più rare come le sovraombelicali (che si verificano in zone carenti di muscolatura) o le Spigelio (tra muscoli).
Discorso a parte per i Laparoceli (ernie che si sviluppano su pregresse cicatrici) e Diastasi della Parete (allargamento dello spazio tra muscoli) dei quali tratta una sezione ulteriore.
COSA COMPORTANO E COME AVVIENE LA DIAGNOSI
Qualunque sia la natura dell’ernia la sintomatologia è molto simile: il dolore nel punto di fuoriuscita (a volte avvertito come senso di peso) ed il rischio che ciò che esce tenda a non rientrare e nel suo passaggio ad ostacolare il flusso sanguigno (ernie irriducibili e strozzate).
Spesso il paziente vede una protuberanza o una asimmetria dell’addome ed avverte che magari scompare una volta sdraiatosi. A volte è il dolore in sedi tipiche per la presenza di ernia che inducono ad una visita chirurgica.
Con l’ECOGRAFIA è possibile accertarsi della presenza di ernia, valutare le dimensioni della porta, evidenziare che tipo di materiale transita.
QUALE TRATTAMENTO
Nei nostri centri il paziente viene valutato con ecografia, viene discusso il tipo di trattamento più idoneo e l’indicazione.
In genere qualsiasi ernia non ha modo di essere riparata se non con un intervento chirurgico ma la tempistica può essere valutata di caso in caso per scegliere il momento migliore.
Il trattamento chirurgico è quasi sempre “protesico” ossia si procede a rinforzare la parete addominale con una rete che si integra ai tessuti corporei irrobustendoli. Le reti possono essere di materiali differenti fino ad essere totalmente riassorbibili in alcuni casi selezionati.
La tecnica chirurgica può essere quella tradizionale con il taglio nella sede dell’ernia oppure laparoscopica o robotica utilizzando piccoli fori nell’addome.
La scelta di una tecnica o l’altra è discussa con il paziente al quale vengono portati i vantaggi e gli svantaggi di ciascun caso.
Con la tecnica open per esempio trovano indicazione piccole ernie in pazienti magri e con attività sportiva non eccessiva. Si preferiscono invece le tecniche laparoscopiche e robotiche nei pazienti grandi sportivi, per una ripresa delle attività molto più veloce e per il minor rischio di recidive.
Nel postoperatorio il paziente viene seguito fino a completa guarigione che avviene in pochi giorni con una ripresa delle normali abitudini quotidiane dopo 48 ore e degli sforzi in 7-10 giorni.
ERNIA DELLO SPORTIVO o SPORT HERNIA
Se durante lo sport o dopo sforzi intensi avvertite dolore in sede inguinale è possibile voi abbiate una “Sport Hernia). Una Valutazione Chirurgica con Ecografia potrà valutare la situazione, dirimere i dubbi ed offrire alternative terapeutiche.
Da molti anni si sente parlare in diverso modo in ambito sportivo di “Pubalgia”, “Osteite Pubica”, “Lesione Inguinale”, “Ernia da Sport”, etc.
Comunque la si chiami la sintomatologia è pressoché simile:
- Dolore in regione inguinale, spesso esacerbata dai colpi di tosse.
- Fitte dolorose al basso addome.
- Irradiazione del dolore a livello del testicolo dal lato del dolore.
- Dolore che interferisce con la pratica sportiva (agonistica o dilettantistica).
- Attività sportive coinvolte sono in genere quelle con repentini cambi di direzione (Tennis, Calcio, Basket, etc.).
Diagnosticare correttamente questa situazione è complesso perché spesso non si ha una vera ernia palpabile ma una condizione nella quale il dolore è localizzato più al pube, di solito regredisce con il riposo (e quindi è poco evidenziabile durante una comune visita) e viene scatenato da manovre specifiche (ad esempio la flessione del tronco contro resistenza, il Crunch Test, lo Squize Test).
Alla Visita si possono aggiungere Radiografie mirate (per escludere ad esempio l’osteite), la TAC sotto spinta (per valutare presenza di ernie inguinali propriamente dette), la Risonanza Magnetica (per evidenziare l’inserzione dei muscoli sul pube).
I tessuti molli più frequentemente colpiti nell’ernia dello sportivo sono i muscoli obliqui nel basso addome. Particolarmente vulnerabili sono i tendini che inseriscono i muscoli obliqui all’osso pubico. In molti casi di ernia dello sportivo, anche i tendini che inseriscono i muscoli della coscia all’osso pubico (adduttori) possono essere stirati o strappati.
L’origine dell’ernia nello sportivo è dibattuta ma a parte il meccanismo che la scatena si mantiene con una infiammazione muscolare che nel tempo diventa cronica: miosite.
Alcune teorie prevedono quale causa, uno spostamento mediale del muscolo retto addominale. Secondo altri studi, sembra che essa si faccia strada attraverso delle fibre muscolari strappate del muscolo obliquo interno e dell’inserzione del muscolo trasverso (il tendine congiunto) nella porzione mediale del canale inguinale.
TRATTAMENTO
Una volta che è stata individuata la patologia ed inquadrata come “Ernia da Sport” o “Sport Hernia” è di estrema importanza seguire le indicazioni internazionali che si evolvono con una certa frequenza.
Al momento attuale le indicazioni sono:
- 8 settimane di terapia conservativa con antinfiammatori, riposo, eventuali infiltrazioni locali e terapie fisiche.
- Se non regressione della sintomatologia o ripresa della stessa dopo ripresa delle attività intervento chirurgico.
Il trattamento chirurgico (sia in chirurgia aperta che laparoscopica) garantisce il 90% dei risultati positivi con ripresa delle normali attività sportive entro le 6-8 settimane dall’intervento.
In particolare la tecnica di TAPP (TransAddominalPrePeritoneal) Lloyd Laparoscopica con Fissaggio della Rete Mediante Collanti permette di associare la mininvasività della laparoscopia (non incisioni fastidiose all’inguine ma 3 piccoli buchi all’altezza dell’ombelico) all’efficacia del rilasciamento muscolo-tendineo.
Dopo l’operazione i pazienti sono invitati a mobilizzarsi abbastanza rapidamente eseguendo esercizi di stretching dopo 24 ore. Possono lavare le ferite il giorno dopo. Non vi è alcuna restrizione di attività dopo la procedura e gli atleti sono invitati a tornare ad allenarsi blandamente in pochi giorni e riprendere gli allenamenti normali entro circa 4 settimane.
Nel restante 10% dei casi si procede ad un ulteriore piccolo intervento che si chiama “Tenotomia degli Adduttori” che consente nel rilascio dell’inserzione dei muscoli adduttori dal lato dolente che guarendo risulteranno più lunghi e meno “stressati”.
Siamo in grado di garantire:
– La corretta diagnosi
– Un trattamento conservativo innovativo (infiltrazioni di cortisonici eco-guidati)
– L’eventuale Intervento chirurgico secondo le più moderne tecniche mininvasive
Diastasi Parete Addominale
Se notate una protuberanza addominale che si forma quando da sdraiati sollevate la testa ed il tronco è probabile voi abbiate una “Diastasi della Muscolatura Addominale”.
Una Valutazione Chirurgica con Ecografia potrà valutare la situazione e proporre il trattamento chirurgico o non più idoneo.
La Diastasi Recti, o Diastasi dei Muscoli Retti dell’Addome, è definita come uno spazio tra i due lati del muscolo retto dell’addome. Questa separazione tra i muscoli addominali del retto destro e sinistro è creata dall’allargamento della guaina che avvolge i muscoli dell’addome che nella porzione centrale prende il nome di Linea Alba.
La diastasi del muscolo retto dell’addome si verifica più frequentemente nei neonati (specialmente i prematuri) e nelle donne durante e dopo la gravidanza; tuttavia può verificarsi in qualsiasi indivuduo maschile o femminile adulto. È più comune nelle donne che hanno avuto diverse gravidanze causa dei ripetuti allungamenti che la muscolature e la guaina hanno subito. Le donne sono più suscettibili allo sviluppo della diastasi dei retti quando hanno avuto la gravidanza a più di 35 anni, un peso alla nascita elevato del bambino, gravidanze con parti gemellari e gravidanze multiple. Ulteriori cause possono essere attribuite a eccessivi esercizi addominali dopo il primo trimestre di gravidanza.
L’allenamento di forza di tutti i muscoli dell’addome (core) può ridurre la dimensione del gap nelle donne in gravidanza o postpartum. Quando la Diastasi supera i 3 cm si può parlare di patologia e, sebbene gli esercizi possano ridurre la larghezza, una correzione con una procedura di chirurgia risulta più adeguata.
La diastasi può apparire come una cresta che corre lungo la linea mediana dell’addome, ovunque dal processo xifoideo all’ombelico. Diventa più prominente con lo sforzo e può scomparire quando i muscoli addominali sono rilassati. I bordi centrali delle metà destra e sinistra del muscolo possono essere palpati durante la contrazione del retto addominale. La condizione può essere diagnosticata facilmente dal paziente stesso e deve essere differenziata da un’ernia epigastrica o un’ernia incisionale (nelle quali c’è proprio una mancanza della fascia) e quantificata mediante Visita Specialistica Chirurgica ed Ecografia.
Dal 2019 è stata proposta una Classificazione della Diastasi che tiene conto della larghezza (W1<3 cm, W2 3-5 cm, W3>5cm), della estensione longitudinale (M1-5) oltre che di altri fattori (pregressi interventi, concomitanza di ernie, etc) per poter procedere alla selezione dei pazienti e del tipo di intervento da proporre.
La visita viene eseguita con il soggetto disteso sulla schiena, le ginocchia piegate a 90 ° con i piedi piatti, la testa leggermente sollevata posizionando il mento sul petto. Con i muscoli tesi, gli esaminatori posizionano quindi le dita sulla cresta che viene presentata. La misurazione della larghezza della separazione è determinata dal numero di punte delle dita che possono adattarsi allo spazio tra i muscoli del retto dell’addome sinistro e destro. La separazione consistente in una larghezza di 2 punte delle dita (circa 1 1/2 centimetri) o più è il fattore determinante per la diagnosi di diastasi.
COMPLICANZE:
Per molti anni la Diastasi dei Retti è stata considerata una patologia del tutto “Estetica” e pertanto è stata trattata e corretta dai Chirurghi Plastici che spesso la associavano all’Intervento di AddominoPlastica per correggere le abbondanze cutanee (Addome a Grembiule o Pendulo).
Negli ultimi anni invece applicando metodi scientifici sono emerse una serie di complicanze che rendono la situazione una vera e propria patologia non solo “Estetica”.
1. La Stabilità e la Mobilità del Tronco appaiono compromesse in quanto l’allargamento dei muscoli addominali crea i presupposti meccanici per una distribuzione delle linee di forza scorrette.
2. Una delle conseguenze dell’instabilità è il Mal di Schiena che sicuramente non ha come unico colpevole la Diastasi ma che può essere accentuato dalla comparsa di Iperlordosi (la tendenza ad inarcare la schiena) per compensare il volume creatosi anteriormente. Le conseguenti Alterazioni della Postura creano sovraccarichi sulla colonna ed i muscoli del Core.
3. Altri studi hanno condotto a riscontrare un aumento dei casi di dolore e disfunzione del Pavimento Pelvico in pazienti portatori di Diastasi. In particolare la stitichezza e l’incontinenza possono essere conseguenze di una ridotta capacità di creare una pressione adeguata durante il torchio addominale (la contrazione isometrica di tutta la muscolatura addominale per aumentarne la pressione ed espellere urina e feci).
CURA:
Al di sotto di 3 cm di distanza tra i muscoli retti è possibile provare ad intervenire con specifici esercizi che possono essere studiati con Fisioterapisti esperti nel settore.
Quando il deficit è più marcato la Chirurgia della Diastasi dei Muscoli Retti è l’unica vera alternativa.
Solo una Visita Accurata ed una Ecografia potranno evidenziare quale sia la miglior cura chirurgica per la situazione del paziente specifico.
Diverticolosi e Diverticolite
Se avete dolore alla parte inferiore sinistra dell’addome è possibile voi abbiate una “Diverticolosi o Diverticolite”. Una Valutazione Chirurgica può evidenziare il sospetto e valutare insieme a voi i passi da intraprendere per una corretta diagnosi e trattamento.
CHE COS’E’?
I diverticoli possono definirsi erniazioni sacciformi che interessano la mucosa e la sottomucosa della parete dell’intestino e che si localizzano più frequentemente nel colon sinistro ed in particolare nel colon sigmoideo.
Il numero dei diverticoli può variare a seconda dei casi da pochi sino a centinaia ma è bene precisare che la loro presenza, indipendentemente dal numero, non comporta necessariamente l’insorgenza della malattia diverticolare, intesa come complicanza della diverticolosi e che si manifesta con sintomi abbastanza specifici.
QUANTO E’ FREQUENTE?
La malattia diverticolare comporta circa 300.000 ospedalizzazioni all’anno negli Stati Uniti, con 1,5 milioni di giorni di cure ospedaliere. Infatti, questa malattia è la terza malattia gastrointestinale più comune che richiede il ricovero in ospedale e l’indicazione principale per la resezione del colon elettiva.
Si è osservato per prima cosa che la diverticolosi del colon viene segnalata maggiormente nei paesi occidentali e che colpisce in prevalenza i soggetti anziani. In dettaglio, si è dimostrato che la malattia è ugualmente distribuita in entrambi i sessi, aumenta con l’età, a partire da un 10% di casi al di sotto dei 40 anni, sino al 25% a 60 anni sino al 50% in soggetti con oltre 80 anni di età.
La diverticolosi interessa principalmente il colon di sinistra nell’80% della popolazione occidentale, mentre nella popolazione asiatica, con la stessa percentuale, si localizza nel colon di destra.
Una stima della frequenza di malattia diverticolare osservata nelle popolazioni di alcuni paesi (Regno Unito, Stati Uniti ed Australia), in rapporto all’età dei soggetti ed all’origine etnica, evidenzia che varia dal 5 al 50%. Tuttavia, malgrado questi dati certi, la prevalenza complessiva nelle aree geografiche indicate è difficilmente quantificabile poiché almeno l’85% dei casi sono asintomatici.
STORIA NATURALE
Nello stadio iniziale il diverticolo può regredire, ma in un terzo dei casi il numero dei diverticoli e l’estensione al colon è destinato ad aumentare nel tempo.
La comparsa di questa forma dipende da una serie di condizioni. Il ruolo, per esempio, del tipo di alimentazione nel favorire o prevenire la diverticolosi appare sempre più fondamentale; infatti, negli ultimi decenni, viene segnalato un aumento progressivo della diverticolosi e delle sue forme complicate forse perché la popolazione più industrializzata sempre meno uso di fibre alimentari; nei paesi del continente africano invece il maggiore consumo di fibre comporta che i casi descritti siano nettamente inferiori.
Una probabile spiegazione a quanto osservato dipende dal fatto che l’insufficiente apporto di fibre nella dieta comporta una variazione della flora batterica e quindi l’instaurarsi di questa sequenza di eventi favorisce l’aumento della pressione nella parete del viscere intestinale, una locale diminuzione delle risposte immunitarie e quindi la formazione dei diverticoli.
L’attività fisica regolare sembra svolgere un ruolo di prevenzione così come l’assunzione cronica di farmaci tipo calcio-antagonisti per la cura di altre patologie, tipo l’ ipertensione.
Per lo stesso motivo invece l’assunzione cronica di altri farmaci tipo antiinfiammatori cortisonici e non cortisonici (conosciuti come Fans) ed infine gli analgesici oppioidi sembra favorire le l’insorgenza di complicanze diverticolitiche.
L’evoluzione clinica sfavorevole della diverticolosi si verifica allorché, all’interno dei diverticoli, si sviluppa un’infiammazione. Il quadro clinico prende genericamente il nome di Diverticolite ed esprime quindi la presenza di malattia diverticolare non complicata. Questa forma si verifica dal 10 al 25% dei casi di diverticolosi e dopo il primo episodio può ricomparire, malgrado la terapia, nel 25% entro i primi 5 anni.
Tale evenienza che prende il nome di recidiva varia dal 7 al 42 %. Il rischio di ulteriore recidiva dopo il primo ricovero è del 3 %. Almeno il 50% di tali recidive si verifica entro il primo anno ed il 90% entro 5 anni. Le complicanze descritte sono state segnalate complessivamente nel 5% di soggetti con diverticolosi seguiti da 10 a 30 anni. Nel Regno Unito l’incidenza di perforazione è di 4 casi su 100.000 persone, quantificandosi approssimativamente a 2000 casi all’anno.
La malattia diverticolare si può complicare in diverse forme e comportare interventi chirurgici urgenti. Tra le manifestazioni vi è l’ occlusione intestinale in presenza di un restringimento del lume intestinale (stenosi) indotto dalla infiammazione presente nei diverticoli e nel lume intestinale circostante.
Inoltre, la possibilità di formazione di ascessi peri-diverticolari, di fistole che originano dal processo infiammatorio e si diffondono all’interno dell’addome comunicando con altri visceri, tipo l’intestino tenue ed anche la vescica. Da rilevare la possibilità di emorragie intestinali, talvolta condizionanti anemie acute, dovute alla erosione di un vaso arterioso all’interno del diverticolo infiammato ed infine, segnaliamo l’evenienza di perforazione intestinale con conseguente peritonite.
La formazione di ascessi, appena descritta rappresenta uno stadio iniziale di peritonite che, non infrequentemente, si può controllare con terapia conservativa. I casi complicati hanno comportato negli ultimi 10-20 anni un progressivo aumento del numero di ricoveri ospedalieri e ha inoltre condizionato tassi di mortalità non trascurabili specialmente nei soggetti con perforazione.
Questa sfavorevole evenienza non appare legata tanto alla malattia quanto al fatto che si verifica in soggetti per lo più anziani che hanno associate in precedenza numerose malattie cardio-respiratorie o metaboliche che, in presenza di diverticolite, evolvono senza controllo e alterano sfavorevolmente il precario compenso emo-dinamico o metabolico.
Fortunatamente, la malattia diverticolare si può controllare con terapia medica nella maggior parte di casi, pur richiedendo il ricovero per monitorare la risoluzione del quadro clinico.
Questo comportamento clinico rende a tutt’oggi la malattia diverticolare, allorché complicata, un entità clinica severa in relazione ai postumi (morbilità) che comporta e tra questi i tempi prolungati di guarigione, le possibili recidive ed anche e meno frequentemente rischi di mortalità non trascurabili. E’ importante per questo che lo specialista informi il paziente nel modo più esauriente possibile sui diversi comportamenti della malattia e sulle strategie terapeutiche che verranno adottate di conseguenza.
L’impatto sociale della malattia è nel complesso molto alto a tal punto da rappresentare la quinta malattia gastroenterica più importante.
QUALI SONO I SINTOMI?
I sintomi principali sono:
1. Dolore colico, prevalente nell’addome di sinistra
2. Febbre
3. Vomito
4. Occlusione intestinale sotto forma sia di blocco della defecazione che raramente di diarrea inusuale
5. Sanguinamento rettale
6. In alcuni casi sono pure associati disturbi urinari allorchè per esempio si instaura una fistola con la vescica urinaria sotto forma di emissione di urine torbide e con aria.
I pazienti dopo un episodio di grave diverticolite acuta hanno nel tempo la possibilità di ripresentare sintomi cronici più prolungati, di evidenziare negli esami umorali indici di infiammazione (citochine) più alti rispetto ai pazienti che sviluppano lievi attacchi di diverticolite.
Queste diverse presentazioni cliniche possono contribuire alla stratificazione del rischio dei pazienti e guidare le decisioni terapeutiche. Nel caso vengano poi operati di resezione intestinale, all’esame istologico sono sempre descritti più infiltrati infiammatori nel tessuto colico diverticolare.
C’E’ UNA CURA?
L’obiettivo della terapia medica è di migliorare sintomi e di prevenire sia gli attacchi ricorrenti e le complicanza della diverticolite. Quando questi si verificano la terapia medica risulta efficace nella maggior parte dei casi nel prevenire nel futuro la reazione infiammatoria e nel limitare l’evoluzione della malattia.
Nel caso venga diagnosticata la diverticolosi non complicata il principale aiuto viene da una dieta ricca di scorie; da un adeguato e proporzionale apporto idrico, condizione basilare per consentire evacuazioni di consistenza soffice e più rapida, evitando in tal modo le spinte eccessive. Una dieta con alta concentrazione di fibra e/o una integrazione di prodotti a base di fibre è stata largamente raccomandata ed in commercio esiste una lunga lista di prodotti, tuttavia i livelli di evidenza che ne dimostrano una provata efficacia non sono consistenti.
Da ricordare tuttavia che in caso di complicanza determinante restringimento (stenosi) dell’intestino come effetto di una importante infiammazione la dieta ad alto contenuto di scorie deve essere evitata per alcune settimane ed in tal caso le diete semiliquide vanno consigliate senza eliminare l’assunzione di carni e carboidrati per garantire un sufficiente apporto calorico.
In un secondo tempo quando l’infiammazione sarà migliorata, a seguito di controlli diagnostici e sulla base delle condizioni cliniche, sarà possibile introdurre in modo graduale nella dieta le scorie sotto forma di verdure e frutta prevalentemente cotta.
Dal punto di vista farmacologico una serie di farmaci vengono comunemente utilizzati: spasmolitici, antibiotici, antinfiammatori tipo mesalazina (tale farmaco non rientra nella categoria dei Fans e Cortisonici in precedente descritti come favorenti l’infiammazione) ed inoltre probiotici (fermenti lattici) che sono stati impiegati in modo svariato, singolarmente o associati.
Va ricordato al riguardo che l’assunzione di probiotici richiede al massimo una settimana da iniziare dopo la sospensione della terapia antibiotica ed eventualmente si può riprendere ciclicamente per lo stesso periodo nei mesi successivi. Per i prodotti menzionati non è stata comprovata la maggiore efficacia di un singolo farmaco rispetto ad altri o dell’ associazione di più farmaci. Si sottolinea che il loro utilizzo non prevede comunque l’automedicazione, favorita dalla tendenza attuale a documentarsi sul web, bensì richiede obbligatoriamente la prescrizione del medico curante o dello specialista che indicheranno la posologia e la durata adeguata. In ogni caso un consulto di base da parte di un gastroenterologo e la presa in carico per controlli successivi è sempre consigliabile. Qualora in seguito i sintomi facciano sospettare la presenza di una forma complicata di diverticolosi il paziente dovrebbe rivolgersi subito al proprio medico curante e quindi essere inviato entro breve termine ad uno specialista chirurgo colo-rettale per un consulto.
Qualora la situazione clinica evolva sfavorevolmente e richieda un ricovero significa che la fase della malattia è complicata. In tal caso sono previsti sia periodi di osservazione clinica per controllare la risoluzione dell’evento acuto, sia interventi chirurgici qualora il quadro clinico peggiori.
L’indicazione all’intervento può essere programmata qualora si decida di intervenire in base alla ripetizione frequente degli episodi, malgrado la terapia medica, oppure in urgenza, qualora subentrino acutamente una delle complicanze e tra queste ricordiamo la perforazione intestinale del diverticolo con conseguente peritonite, oppure l’occlusione intestinale o l’emorragia infrenabile.
I tipi di interventi previsti riguardano la resezione del tratto intestinale interessato, seguita sia da ricongiunzione diretta del tratto intestinale sano, oppure la resezione del tratto intestinale con deviazione provvisoria delle feci (stomia), che andrà mantenuta per almeno 180 giorni secondo lo studio di revisione internazionale della Cochrane.
La scelta di un tipo di procedura rispetto ad un altra dipenderà se gli interventi siano stati programmati in elezione oppure in urgenza. Nel primo caso infatti è possibile la ricongiuzione diretta intestinale senza stomia di protezione, nel secondo invece non è proponibile evitare la stomia, per quanto provvisoria, perché la situazione di urgenza come la peritonite impedisce la tenuta delle suture intestinali e quindi si verificherebbe ulteriore contaminazione batterica del cavo addominale.
Negli ultimi anni la chirurgia laparoscopica ha sostituito progressivamente l’approccio alla chirurgia aperta specialmente nelle situazioni in cui l’intervento viene effettuato in elezione. Minori sono le indicazioni alla laparoscopia in urgenza se non quando sia presente una forma peritonitica localizzata in cui è descritta la possibilità di effettuare una diagnostica laparoscopica, di lavare il cavo peritoneale e quindi di posizionare un drenaggio nella sede circostante alla perforazione. Il razionale di tale procedura risiede nel poter programmare in un secondo tempo l’intervento in elezione, evitando la stomia in urgenza.
I risultati di molti studi sono molto incoraggianti in questo senso, tuttavia è bene ricordare che tale approccio va riservato nei centri chirurgici in cui il volume di attività per queste forme sia elevato e quindi lo consenta in sicurezza.
In conclusione si ribadisce che la utilità di una corretta informazione riguardo a tutte le forme cliniche della diverticolosi è uno strumento essenziale per la prevenzione delle complicanze anche se non può essere sufficiente per evitarle.
Consigli Dietetici per Diverticolosi / Diverticolite
DIVERTICOLOSI
Preferire alimenti ricchi di fibre, accompagnandoli ad un’abbondante assunzione di liquidi (acqua non gassata).
Se necessario, integrare la propria dieta con supplementi dietetici a base di fibre (psillio, crusca… ), ma evitare l’uso di lassativi.
Consumare un’abbondante colazione.
Aumentare il movimento fisico (jogging, camminate a passo veloce, cyclette ecc.).
DIVERTICOLITE
Abolire spezie, cibi piccanti (pepe, peperoncino, curry, noce moscata), alcolici, bevande, gassate, thè (ammesso quello deteinato), caffè (ammesso quello decaffeinato) e cioccolato.
Ridurre o addirittura eliminare il consumo di latte; sono invece tollerate modiche quantità di yogurt e latticini (tranne i formaggi piccanti).
Evitare semi oleosi, legumi, cereali integrali e più in generale gli alimenti meteorizzanti (champagne, acqua gassata, panna montata, maionese…).
Consumare frutta senza buccia e centrifugata (ma non frullata, per evitare che l’alimento inglobi eccessive quantità di aria).
Evitare tutte le verdure
Neoplasie Anali
Incidentalomi Surrenalici - Neoplasie Surrene
Spesso durante le TAC e le Ecografie si evidenziano delle lesioni ai surreni che andrebbero correttamente valutate da un Chirurgo per intraprendere il giusto percorso diagnostico e terapeutico.
ANATOMIA
Il Surrene dal punto di vista anatomico, cioè della forma, della posizione e dei rapporti con gli organi vicini, si definisce come un organo pari, cioè doppio, bilaterale e simmetrico, posto in cavità addominale, in una sede subito al di sopra dei due reni, rispetto ai quali si pone in stretto rapporto di vicinanza. In effetti i due Surreni si adagiano al di sopra dei reni in modo simile ad un “cappello frigio”, secondo una dizione tipica dei vecchi trattati di anatomia, in cui si tendeva ad una esposizione molto descrittiva ed immaginifica. La disposizione dei surreni è così strettamente in contatto con il polo superiore del rene che spesso l’asportazione chirurgica del rene prevede, per semplicità, anche la rimozione in un solo blocco del surrene (cosiddetta nefro-surrenectomia), mentre in corso di surrenectomia (asportazione chirurgica del Surrene) vi è il rischio di danneggiare il polo superiore del rene, sia nel senso della struttura di quest’organo, sia della sua vascolarizzazione, disposta molto vicino al profilo interno del Surrene. A destra quest’organo è anche in stretto rapporto con la vena cava inferiore (la più grossa vena del corpo deputata a portare al cuore tutto il sangue refluo dalla parte inferiore dell’organismo che deve essere ri-ossigenato nei polmoni), mentre a sinistra è disposto al di sotto della milza e lateralmente rispetto all’estremità sinistra del pancreas, nota come “coda” del pancreas. In entrambi i lati il Surrene si adagia posteriormente sul piano dei muscoli posteriori dell’addome, in particolare il quadrato dei lombi più in alto e lo psoas più in basso. La conoscenza approfondita di questi rapporti anatomici del surrene è ovviamente la premessa fondamentale per la corretta esecuzione di tutta la chirurgia surrenalica sia tradizionale (aperta) che mini-invasiva.
FISIOLOGIA
Dal punto di vista della struttura interna e della funzione il surrene si definisce come ghiandola endocrina. Il termina “ghiandola” significa organo che produce delle sostanze utili all’organismo. Il termine “endocrina” significa che tali sostanze vengono riversate nel sistema ematico, ed agiscono ad una certa distanza rispetto alla sede delle ghiandole (contrariamente a quanto avviene per le ghiandole cosiddette “esocrine” in cui le sostanze, con azione spesso enzimatica, vengono riversate vicino alla ghiandola attraverso un sistema di canali interni, ed agiscono localmente). Le sostanze prodotte dalle ghiandole endocrine, che agiscono a distanza rispetto all’organo che le produce, sono note come “ormoni”. Gli ormoni prodotti dal surrene sono molti e diversi, con attività molteplice e diversificata, e spiegano il motivo per cui il surrene sia una ghiandola di estrema importanza, posta al centro di una serie di funzioni fisiologiche critiche e fondamentali per l’organismo.
Nel caso del surrene è particolarmente evidente il fenomeno della precisa localizzazione microscopica della sede di produzione ormonale, ovvero il fatto che i vari tipi di ormoni sono prodotti in settori diversi, riconoscibili e chiaramente distinguibili tra loro al microscopio all’interno della ghiandola. Nella parte più centrale infatti, anche nota come “midollare”, vengono prodotte le cosiddette “catecolamine” ovvero principalmente la noradrenalina, l’adrenalina e la dopamina. Tali amine hanno funzione di regolazione della forza e della frequenza del battito cardiaco e quindi, in ultima istanza, regolano la funzione cardiocircolatoria (anche detta “emodinamica”) dell’organismo. Subito al di sopra della midollare si trova la parte più esterna della ghiandola, detta anche “corticale”, in cui vengono prodotti gli ormoni di natura steroidea, che regolano molta parte del metabolismo dell’intero organismo. In essa sono distinguibili in senso istologico (cioè della struttura microscopica) tre ulteriori strutture, dalla profondità, cioè dalla sede più vicina alla midollare, alla superficie, quella subito sotto la capsula di rivestimento dell’organo: la cosiddetta “zona reticolare”, in cui vengono prodotti ormoni sessuali (principalmente estrogeni e testosterone), la cosiddetta “zona fascicolata” in cui si realizzano ormoni cosiddetti “gluco-corticoidi” che sono cioè deputati a regolare il sistema fondamentale del metabolismo del glucosio, ed infine la “zona glomerulare” in cui vengono creati gli ormoni detti “mineral-corticoidi” (principalmente l’aldosterone) che incidono cioè sul metabolismo di ioni minerali essenziali per l’organismo come il sodio ed il potassio.
STORIA
L’asportazione chirurgica di una o di entrambi le ghiandole surrenaliche si definisce surrenectomia o bi-surrenectomia, rispettivamente. Questa pratica chirurgica è stata descritta per la prima volta nel 1889 da Thornton ed è stata portata a termine per la prima volta nel 1926 e nel 1927 da Mayo e Roux Per molti anni la chirurgia “aperta”, cioè col taglio verticale tradizionale, è stata l’unica possibile via per asportare il Surrene. Dopo l’introduzione della chirurgia mini-invasiva, detta anche laparoscopia perché sfrutta una telecamera per effettuare la visione interna dell’addome, questa tecnica è stata applicata con successo anche alla surrenectomia a partire dal 1992 ad opera di Gagner. Progressivamente tale tecnica è divenuta l’approccio ideale (cosiddetto “Gold Standard”), perché più efficace e meglio sopportato dal paziente nell’asportazione del surrene.
PATOLOGIA
Le malattie del surrene che richiedono l’asportazione di questo organo sono patologie (di solito di tipo tumorale) piuttosto subdole ed insidiose in quanto spesso caratterizzate da pochi sintomi e dimostrate solo per caso, in seguito ad esami effettuati per altre motivazioni, i cosiddetti “incidentalomi” che non secernono ormoni e dunque non sono sintomatici (questo termine deriva dalla confluenza della parola tumore, suffisso “oma”, e della locuzione “scoperto casualmente”, prefisso “incidentale”). In casi più rari l’affezione surrenalica è rappresentata da un tumore che secerne uno dei vari tipi di ormoni surrenalici in modo eccessivo e incontrollato. In caso di tumore secernente catecolamine, di origine dalla midollare del surrene, si parla di Feocromocitoma. Se invece l’ipersecrezione è a carico della corticale surrenalica, si definisce adenoma surrenalico iper-secernente, con la possibilità di un coinvolgimento della zona glomerulare (adenoma mineral-corticoide, anche detto aldosteronoma dal nome dell’ormone più frequentemente prodotto, che produce una serie di sintomi quali ipertensione e ipokaliemia, nota come sindrome di Conn dal nome di colui che l’ha descritto per la prima volta), di quella fascicolata (detto anche adenoma di Cushing, che produce un quadro di diabete ed ipertensione variamente associati) o infine zona reticolata (iperproduzione di ormoni sessuali). Tali condizioni tumorali, sia secernenti che non, sono tutte biologicamente benigne, ovvero sempre curabili in modo radicale con la sola asportazione chirurgica. In rari casi invece il tumore acquista caratteristiche di malignità, cioè potenzialità, una volta asportati, di dare metastasi a distanza o recidive locali. Si tratta di tumori a partenza dalla corticale del surrene, detti carcinomi corticosurrenalici, caratterizzati da volumetrie molto elevate (oltre i 6-8 cm) ed aspetto spesso caratteristico alla TAC (calcificazioni, necrosi interne ecc….). In rari casi anche i tumori maligni producono eccesso di ormoni, di solito di tipo sessuale o precursori di ormoni steroidei, in grado di produrre sintomi molto variegati e insidiosi (femminilizzazione o mascolinizzazione, ipertensione arteriosa ecc….).
DIAGNOSI
Per la diagnosi la TAC è l’esame di scelta per inquadrare i tumori del surrene insieme alla Risonanza Magnetica Nucleare (RMN) ed alla Scintigrafia (o più modernamente alla Tomografia ad Emissione di Positroni, PET), mentre l’ecografia è una metodica considerata oggigiorno troppo poco sensibile. Gli aspetti più salienti da considerare nella descrizione del surrene nel corso delle suddette indagini di imaging diagnostico, sono rappresentate senz’altro dal volume complessivo dell’organo (come si vede in figura in cui balza anche agli occhi di un non esperto la grosso massa rotondeggiante presenta a destra della figura, corrispondente nella tc alla sinistra del paziente), dalla densità della struttura della ghiandola ed altre caratteristiche interne (come aree di calcificazione o di necrosi), ed in particolare dalla scarsità della componente adiposa per i tumori corticali. Tumori in cui queste tre dati sono a livello elevato sono da vedersi con sospetto. Purtroppo infatti la sicurezza assoluta della diagnosi di malignità o benignità non può ottenersi che dopo aver asportato chirurgicamente l’organo, in quanto è pericoloso effettuare, se non in casi molto rari, la biopsia preoperatoria della ghiandola che, oltre ad essere un esame indaginoso che in pochi centri si riesce ad effettuare in modo sicuro ed efficace, rischia, in caso di tumori maligni, di diffondere le cellule tumorali lungo il percorso dell’ago da biopsia.
Tutti i pazienti devono poi essere sottoposti ad un inquadramento ormonale, cioè devono ricevere gli esami endocrinologici corrispondenti a tutti i possibili ormoni prodotti da questa ghiandola, che abbiamo sopra menzionato. Ciò in quanto, come si dirà sotto, in caso di un aumento della concentrazione di un ormone, cioè in caso di tumori funzionanti, l’atto chirurgico deve essere subito realizzato.
”Emorroidi”
Se sei un individuo che nota del sanguinamento sulla carta igienica è probabile che siamo di fronte ad una patologia emorroidaria. Seppure diffusissima pochi pazienti giungono ad una Valutazione Chirurgica – Proctologica in parte intimoriti dalla Visita ed in parte perché ricorrono ad automedicamenti timorosi di trattamenti chirurgici perché a memoria sono molto dolorosi sebbene negli ultimo 20 anni si sono fatti progressi enormi.
INTRODUZIONE
Le emorroidi sono la più frequente affezione proctologica con una prevalenza (numero di pazienti affetti) del 4.4%, con un picco nella fascia d’età 45-65 anni. Si stima che il 50% dei pazienti > 50 anni ha avuto problemi legati alla patologia emorroidaria.
La maggior parte dei pazienti ricorre a cure basate su automedicazione, abitualmente creme locali o integratori assunti per bocca. Il trattamento chirurgico è sempre stato considerato, in parte a ragione, l’estrema soluzione per i casi che non hanno giovamento altrimenti e che causano al paziente sconforto frequente o sanguinamento ricorrente.
Il motivo per cui il trattamento chirurgico delle emorroidi è sempre stato inquadrato come ultima possibilità è dovuto al dolore ed alle altre complicanze legate alla procedura (stenosi, recidive, etc.). Non sorprende quindi che dagli anni ’50 in avanti vi è stato un susseguirsi di tecniche che andavano nella direzione di ridurre il dolore e le conseguenze.
Se fino all’inizio degli anni 2000 il trattamento era pressoché sempre di “rimozione” (tecnica Milligan & Morgan, Ferguson, Whitehead, etc) o di legatura, dal 1999 in poi si è diffusa la “Tecnica Longo” messa a punto da un italiano che utilizzando l’ipotesi del prolasso come prima causa della patologia emorroidaria ha proposto la prolassectomia, ossia la rimozione del prolasso, come intervento di correzione. Per fare ciò è stata perfezionato uno strumento chirurgico (già utilizzato per altri interventi) modificandolo per renderlo adatto a rimuovere una porzione del retto appena al di sopra dei cuscinetti emorroidari, riducendo la lunghezza del retto distale e producendo un “lifting” emorroidario. Questo associato alla posizione della sutura al di sopra dell’area sensibile ha un impatto positivo sul dolore.
Non scevra da rischi (dolore dovuto al malposizionamento della sutura, sanguinamenti, fistole, ascessi, etc.) questa tecnica, ancora tutt’oggi largamente utilizzata, ha delle indicazioni ben precise condivise dalla comunità scientifica.
L’impulso per la ricerca della “tecnica perfetta” ha sviluppato molte alternative che hanno prodotto un’offerta svariata e spesso poco decifrabile per il paziente. Inoltre alcuni vecchi interventi sono stati migliorati con l’utilizzo di materiali meno “dannosi” come bisturi ad ultrasuoni, radiofrequenze, etc.
Una recente revisione della letteratura da parte delle 3 società di chirurgia colorettale (Italiana, Europea ed Americana) ha tentato di fare luce su quali interventi per quale paziente e per quale malattia mettendo un po’ di ordine.
Noi utilizziamo ogni tecnica disponibile ma siamo convinti che solo una attenta valutazione ed un colloquio possa fare fare trovare il giusto intervento per ridurre al minimo l’impatto chirurgico mantenendosi più vicini alle aspettative del paziente.
PATOLOGIA EMORROIDARIA E TRATTAMENTI
Tratto dalle Linee guida della SICCR (Società Italiana di Chirurgia ColoRettale), ESCP (European Society ColoProctology), ASCRS (American Society of ColoRectal Surgery)
Introduzione
I sintomi della Patologia Emorroidaria possono essere comuni ad altre situazioni (Marische, Ascessi, Ragadi, Polipi, Malattie Infiammatorie Intestinali, Neoplasie Anorettali). Il sintomo più diffuso rimane il sanguinamento legato alla defecazione (Proctorragia), spesso non doloroso. Questo stillicidio di sangue può portare fino all’anemia che necessita trasfusioni e ricoveri in ospedale.
Altri sintomi possono essere il gonfiore, il prolasso, la perdita di liquido, l’irritazione perianale. Emorroidi grandi possono portare ad una sensazione di peso rettale e difficoltà alla defecazione.
Sintomi della Malattia Emorroidaria | ||
Molto Frequenti | Mediamente Frequenti | Poco Frequenti |
Sanguinamento legato alla defecazione Gonfiore Prolasso |
Perdita di liquido (Solining) Irritazione perianale |
Anemia da carenza di Ferro |
Visita Proctologica, 1C.
La valutazione ambulatoriale di un paziente con sospetta patologia emorroidaria deve comprendere una Valutazione Visiva della zona, una Valutazione Palpatoria con Esplorazione Rettale e con evidenza di prolasso al ponzamento, una valutazione visiva del canale anale attraverso Anoscopia. La visita se possibile deve essere eseguita con paziente in posizione laterale sx (SIMS) per il maggior comfort.
Colonscopia, 1B.
Sebbene le Emorroidi siano la prima causa di sanguinamento anale non va dimenticato che quest’ultimo è anche il primo segno di cancro colorettale e di altre patologie (Malattie Infiammatorie Intestinali, diverticolosi, etc.).
La Colonscopia diviene pertanto prassi obbligatoria nei pazienti > 45 anni, in quelli con storia familiare di neoplasie, diverticolosi, positività al Sangue Occulto Fecale, etc.
Classificazione
Negli anni sono stati proposti diverse modalità di classificazione ognuna delle quali mostra limitazioni. La più diffusa prevede di classificare il grado di Prolasso Emorroidario.
Prolasso di I Grado | Prolasso di II Grado | Prolasso di III Grado | Prolasso di IV Grado |
I cuscinetti emorroidari sono all’interno del canale anale | I cuscinetti emorroidari prolassano dal canale anale e rientrano spontaneamente | I cuscinetti emorroidari prolassano all’esterno del canale anale e devono essere riposizionati all’interno manualmente | I cuscinetti emorroidari prolassati non rientrano all’interno del canale anale |
Trattamento delle Emorroidi
1° Grado | 2° Grado | 3° Grado | 4°Grado | Complicate |
Modifiche della Dieta e delle Abitudini (Dieta ad alto contenuto di Fibre, Ammorbidenti Fecali, Idratazione, Evitare Sforzo Evacuativo |
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Trattamento Farmacologico (Topico e/o Sistemico) |
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Trattamenti Ambulatoriali (Legatura Elastica, Scleroterapia, Etc.) |
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Trattamenti non Escissionali (PPH, HAL, Etc.) |
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Trattamenti Escissionali (Milligan & Morgan, Ferguson, Etc.) |
(Lohsiriwat V. Treatment of hemorrhoids: A coloproctologist’s view. World J Gastroenterol 2015; 21(31): 9245-9252)
Come si nota dalla tabella molti trattamenti si sovrappongono per stadi di malattia simili. Come abbiamo detto in precedenza sarà la valutazione completa del malato e lo stabilirne le sue aspettative circa il trattamento che farà scegliere quello più idoneo al caso.
Siamo convinti che sia la chirurgia a doversi adattare alle esigenze del paziente e non l’inverso.
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Ragadi ANALI
RAGADE ANALE
Per Ragade Anale si intende una condizione nella quale è presente una ferita all’interno del Canale Anale.
Tale situazione è normalmente molto dolorosa per il paziente sia durante la defecazione che nelle ore successive, a volte associata a perdita di sangue.
Il decorso può essere acuto e seguire una defecazione dura oppure al contrario una situazione nella quale il paziente ha passaggio di feci molli e con frequenza maggiore (diarrea o situazione di Colon Irritabile o altro).
Qualche volta, specialmente se non trattata correttamente, può evolvere in una situazione cronica ed associarsi ad un “Polipo Sentinella”.
E’ stata osservata una associazione con stati emotivi particolarmente impegnativi e per questo motivo spesso sono ricorrenti in taluni pazienti che vivono spesso situazioni stressanti.
La contrattura muscolare e la dilatazione del canale anale che si ha durante l’espulsione delle feci, ostacolano il processo di cicatrizzazione e provocano fitte particolarmente dolorose, per via delle numerose terminazioni nervose presenti in sede.
La contrazione dello sfintere anale interno durante il passaggio delle feci, che avviene involontariamente a differenza di quanto accade con lo sfintere esterno, spiega non solo la comparsa delle ragadi anali, ma anche la loro tendenza spontanea alla cronicizzazione ed alla recidiva.
Il dolore della ragade causa una maggiore contrazione muscolare, l ridotto afflusso di sangue dovuto alla contrazione impedisce la normale guarigione della mucosa.
Si instaura un circolo vizioso Dolore → Ipercontrazione → Ridotta Guarigione → Dolore.
DIAGNOSI
Normalmente la sintomatologia riferita (Dolore durante l’evacuazione che si ripercuote durante la giornata) e un esame obiettivo possono facilmente far porre diagnosi.
A volte il dolore è così intenso che non si riesce a completare una visita con esplorazione rettale e bisogna rimandare anoscopia e visita ad un appuntamento successivo quando il dolore si è ridotto.
La Definizione Ragade Acuta / Cronica si basa sulla durata di più o meno di 6 settimane.
TRATTAMENTO
Il trattamento della Ragade Anale avviene per Step Successivi. I trattamenti sono volti ad interrompere la catena Dolore → Ipercontrazione → Ridotta Guarigione → Dolore.
1. Norme Dietetico – Igieniche
Durante la fase acuta è consigliata una defecazione morbida e poco voluminosa. Se indicati si somministrano prodotti che ammorbidiscono le feci evitando la diarrea (es. PEG 4000 Macrogol).
Per valutare la consistenza delle Feci viene utilizzata la Scala di Bristol e l’efficacia del trattamento si evidenzia con il miglioramento dei valori.
La pulizia deve tener conto della ferita e quindi viene consigliato il bidet postdefecatorio anche solo con acqua tiepida, evitare l’utilizzo di carta igienica che sarebbe abrasiva per la zona, eventualmente le salviette umide non alcoliche.
Si possono assumere analgesici per ridurre il dolore.
Vanno regolarizzate le Abitudini (non sedare l’urgenza defecatoria, evitare sedute prolungate).
2. Utilizzo di Creme ad Azione Dilatante/Guarente (Ca++ Antagonisti, NitroGlicerina, Tocoferolo Acetato)
Le creme ad Azione dilatante sono prodotti relativamente nuovi che da circa 20 anni riescono a coadiuvare la guarigione andando ad intervenire sull’Ipertono causato dal dolore interrompendo la catena prima descritta.
Il Ca++ Antagonista è di solito ben sopportato, la terapia deve essere protratta per 30 – 40 giorni, applicandolo 2 volte al giorno.
I Nitrati sono meno tollerati per l’insorgenza di cefalea, sono molto attivi ed anche il loro utilizzo va protratto per 3-4 settimane.
Negli ultimi anni l’utilizzo di Tocoferolo Acetato (Vitamina E Attivata) ha dimostrato una efficacia pari ai Nitrati.
3. Dilatazione
La Dilatazione Meccanica eseguita attraverso coni con calibri crescenti ha un’azione nel rilassare la muscolatura come per le creme ed a volte viene dato in associazione, come cura principale o dopo guarigione per mantenere una elasticità e prevenire le recidive.
Vanno utilizzati 5-10 minuti alla sera ed al mattino utilizzando il calibro successivo come diametro quando possibile.
D- Infiltrazione muscolare con BOTOX
La Tossina Botulinica viene utilizzata sempre per rilassare lo sfintere interno ed esterno ed ha un’azione prolungata nel tempo fino a 3 mesi.
Il suo utilizzo ha dimostrato molta efficacia ed è largamente adoperata in questa patologia.
4. Intervento Chirurgico
Quel 5-10% di ragadi che non vanno a guarigione con i metodi precedentemente descritti o che recidivano dopo breve sono passibili di intervento chirurgico.
Sono diverse le tecniche utilizzate, dalla sfinterotomia chiusa a quella aperta alla semplice ragadectomia.
Da un lato si cerca di ridurre la pressione dello sfintere e dell’altro si procede a stimolare la ferita a guarire levando la callosità accumulata.
RECIDIVE
Alcuni pazienti hanno episodi successivi e nessun trattamento preventivo si è dimostrato efficace nell’evitare.
Mantenere una defecazione di consistenza e frequenza stabile sembra sia l’unica modalità che riesca a ridurre le frequenza delle recidive.
IL DECORSO POSTOPERATORIO
Nei tempi passati gli interventi nella zona anale erano sicuramente caratterizzati da un decorso postoperatorio particolarmente doloroso.
Il graduale miglioramento delle tecniche, dello strumentario e dei farmaci a disposizione ha reso il decorso dell’intervento molto meno traumatico.
Come regola generale vige il discorso che il dolore postoperatorio deve gradualmente ridursi ed un suo calo iniziale seguito da una intensificazione deve allertare il paziente che deve contattare il chirurgo per un consulto.
Una perdita di materiale sieroso (giallastro), sangue (di una quantità non superiore a mezzo bicchiere di acqua al giorno) o muco (liquido biancastro) sono normali.
Una sensazione di tenesmo (il paziente avverte il retto pieno più o meno costantemente ma all’atto defecatorio non viene emesso pressoche’ nulla) e’ normale. Questa sensazione ha la tendenza a svanire rapidamente.
Le visite di controllo devono essere eseguite dopo 10 e 30 giorni circa.
Pulizia Locale: dal punto di vista scientifico non vi sono prove che l’utilizzo per la pulizia di altro se non acqua e normali saponi determini un miglioramento e/o un peggioramento del decorso postoperatorio.
Il paziente verrà pertanto invitato a mantenere la parte pulita utilizzando normali saponi ed acqua. La sola avvertenza aggiuntiva e’ quella di non utilizzare la carta igienica ma, se necessario perché impossibilitati ad un bidet, salviettine umidificate non alcoliche.
La pulizia deve essere effettuata 2 volte al giorno e dopo ogni defecazione.
Applicazioni Locali: localmente consigliata l’applicazione di una crema contenente Cortisonico ed antitrombotico per circa 7 giorni, 2 volte al giorno, non oltre per i rischi legati al cortisone (ad Esempio Proctosoll).
Analgesici Generali: l’utilizzo di antidolorifici assunti per via orale o iniettiva e’ consigliato al bisogno ossia quando il dolore va al di sopra della soglia personale.
In questo caso l’associazione tra blandi oppioidi (anche in forma di cerotto transdermico) e Paracetamolo si dimostrata molto efficace.
Mantenimento delle Feci Morbide: anche in questo caso la letteratura, ma soprattutto il buon senso, insegnano che una defecazione morbida possa aiutare e ridurre il dolore. Sono suggeriti in questo caso farmaci che determinano un ammorbidimento fecale (PEG, PSYLLIUM) ma non lassativi di contatto (SENNA, ERBE, ETC.) perché’ causerebbero diarrea con frequenti deposizioni dell’alvo e dolore conseguente.
PER MAGGIORI INFORMAZIONI SI CONSIGLIANO I SEGUENTI SITI:
www.siccr.org (Società Italiana di Chirurgia Colorettale)
www.escp.eu.com (Società Europea di Chirurgia Colorettale)
www.fascrs.com (Società Americana di Chirurgia Colorettale)
fistole ANALI
RAGADE ANALE
Per Ragade Anale si intende una condizione nella quale è presente una ferita all’interno del Canale Anale.
Tale situazione è normalmente molto dolorosa per il paziente sia durante la defecazione che nelle ore successive, a volte associata a perdita di sangue.
Il decorso può essere acuto e seguire una defecazione dura oppure al contrario una situazione nella quale il paziente ha passaggio di feci molli e con frequenza maggiore (diarrea o situazione di Colon Irritabile o altro).
Qualche volta, specialmente se non trattata correttamente, può evolvere in una situazione cronica ed associarsi ad un “Polipo Sentinella”.
E’ stata osservata una associazione con stati emotivi particolarmente impegnativi e per questo motivo spesso sono ricorrenti in taluni pazienti che vivono spesso situazioni stressanti.
La contrattura muscolare e la dilatazione del canale anale che si ha durante l’espulsione delle feci, ostacolano il processo di cicatrizzazione e provocano fitte particolarmente dolorose, per via delle numerose terminazioni nervose presenti in sede.
La contrazione dello sfintere anale interno durante il passaggio delle feci, che avviene involontariamente a differenza di quanto accade con lo sfintere esterno, spiega non solo la comparsa delle ragadi anali, ma anche la loro tendenza spontanea alla cronicizzazione ed alla recidiva.
Il dolore della ragade causa una maggiore contrazione muscolare, l ridotto afflusso di sangue dovuto alla contrazione impedisce la normale guarigione della mucosa.
Si instaura un circolo vizioso Dolore → Ipercontrazione → Ridotta Guarigione → Dolore.
DIAGNOSI
Normalmente la sintomatologia riferita (Dolore durante l’evacuazione che si ripercuote durante la giornata) e un esame obiettivo possono facilmente far porre diagnosi.
A volte il dolore è così intenso che non si riesce a completare una visita con esplorazione rettale e bisogna rimandare anoscopia e visita ad un appuntamento successivo quando il dolore si è ridotto.
TRATTAMENTO
Il trattamento della Ragade Anale avviene per Step Successivi. I trattamenti sono volti ad interrompere la catena Dolore → Ipercontrazione → Ridotta Guarigione → Dolore.
A- Norme Dietetico – Igieniche
Durante la fase acuta è consigliata una defecazione morbida e poco voluminosa. Se indicati si somministrano prodotti che ammorbidiscono le feci evitando la diarrea (es. PEG 4000 Macrogol).
La pulizia deve tener conto della ferita e quindi viene consigliato il bidet postdefecatorio anche solo con acqua tiepida, evitare l’utilizzo di carta igienica che sarebbe abrasiva per la zona, eventualmente le salviette umide non alcoliche.
Si possono assumere analgesici per ridurre il dolore.
B- Utilizzo di Creme ad Azione Dilatante/Guarente (Ca++ Antagonisti, NitroGlicerina, Tocoferolo Acetato)
Le creme ad Azione dilatante sono prodotti relativamente nuovi che da circa 20 anni riescono a coadiuvare la guarigione andando ad intervenire sull’Ipertono causato dal dolore interrompendo la catena prima descritta.
Il Ca++ Antagonista è di solito ben sopportato, la terapia deve essere protratta per 30 – 40 giorni, applicandolo 2 volte al giorno.
I Nitrati sono meno tollerati per l’insorgenza di cefalea, sono molto attivi ed anche il loro utilizzo va protratto per 3-4 settimane.
Negli ultimi anni l’utilizzo di Tocoferolo Acetato (Vitamina E Attivata) ha dimostrato una efficacia pari ai Nitrati.
C- Dilatazione
La Dilatazione Meccanica eseguita attraverso coni con calibri crescenti ha un’azione nel rilassare la muscolatura come per le creme ed a volte viene dato in associazione, come cura principale o dopo guarigione per mantenere una elasticità e prevenire le recidive.
Vanno utilizzati 5-10 minuti alla sera ed al mattino utilizzando il calibro successivo come diametro quando possibile.
D- Infiltrazione muscolare con BOTOX
La Tossina Botulinica viene utilizzata sempre per rilassare lo sfintere interno ed esterno ed ha un’azione prolungata nel tempo fino a 3 mesi.
Il suo utilizzo ha dimostrato molta efficacia ed è largamente adoperata in questa patologia.
D- Intervento Chirurgico
Quel 5-10% di ragadi che non vanno a guarigione con i metodi precedentemente descritti o che recidivano dopo breve sono passibili di intervento chirurgico.
Sono diverse le tecniche utilizzate, dalla sfinterotomia chiusa a quella aperta alla semplice ragadectomia.
Da un lato si cerca di ridurre la pressione dello sfintere e dell’altro si procede a stimolare la ferita a guarire levando la callosità accumulata.
RECIDIVE
Alcuni pazienti hanno episodi successivi e nessun trattamento preventivo si è dimostrato efficace nell’evitare.
Mantenere una defecazione di consistenza e frequenza stabile sembra sia l’unica modalità che riesca a ridurre le frequenza delle recidive.
Cisti Pilonidale, Sinus Pilonidale, Ascesso Pilonidale
Patologia ancora poco capita e spesso lasciata alla sua naturale evoluzione negli ultimi anni i pazienti hanno a disposizione nuove armi che solo una Valutazione Chirurgica – Proctologica possono evidenziare.
Per molti anni la causa delle cisti pilonidale è stata al centro di acceso dibattito tra anatomici e chirurghi: alcuni sostenevano la causa anatomica – malformativa (sviluppo errato di quella porzione di corpo) altri erano più propensi ad una causa funzionale (conseguenza di fattori locali che si sviluppavano con l’età). La verità è una via dimezzo: fattori anatomici innati (come la profondità del solco tra i glutei, la pelosità, etc) creano i presupposti fisici per cui se associati ad abitudini di vita (sedentarietà, obesità) scatenano la cisti pilonidale.
I peli, in qualche modo costretti a crescere all’interno della pello, si raccolgono a formare “nidi” nello spessore del tessuto sottocutaneo (sinus pilonidalis) e creano una reazione infiammatoria da corpo estraneo e quindi una cisti.
Le cisti pilonidali sono pertanto raccolte di bulbi piliferi, circondati da reazione infiammatoria del sottocute, localizzate prevalentemente nel solco intergluteo nella regione sacro-coccigea (cisti sacro-coccigee). Questa è una condizione a volte silente, ma spesso tale anomalia va incontro a processi infettivi con l’evoluzione verso la formazioni di ascessi che, spontaneamente, si aprono all’esterno mediante un orificio posto sulla cute del solco intergluteo dando origine alla Fistola Pilonidale o Sacro-Coggigea.
In alcuni casi la fistola può aprirsi in zone differenti e prossimali del solco intergluteo e della regione perianale.
La cisti sacrococcigea, o sinus pilonidale, è una patologia frequente. Gli individui più predisposti a tale patologia sono giovani maschi di razza caucasica, molto pelosi, ma può presentarsi anche nel sesso femminile.
Le cause favorenti l’infezione della cisti sacrococcigea o del sinus pilonidale sono: la scarsa igiene personale, i traumatismi locali dovuti allo stile di vita (indumenti attillati o rigidi, particolari condizioni lavorative), l’obesità, la vita sedentaria e l’abbondante sudorazione.
E’ possibile riconoscere tre differenti aspetti della patologia:
- La Cistisacrococcigea o pilonidale
La fase iniziale, costituita da una piccola tumefazione, più o meno dolente, localizzata nel solco tra i glutei.
Possono essere presenti uno o più ampi orifizi cutanei dai quali possono affiorare ciuffi di peli; - L’ascesso sacrococcigeo o pilonidale
La fase infiammatoria, favorita dall’infezione della cisti da parte di batteri presenti sulla pelle, che evolve verso la formazione della raccolta di pus.
La raccolta di pus porta al progressivo aumento di volume della cisti che diventa intensamente dolente e la cute sovrastante diventa rossa e calda.
L’ascesso può aprirsi spontaneamente o richiedere l’incisione chirurgica. Il pus che fuoriesce è cremoso e maleodorante; - La Fistola sacrococcigea 0 pilonidale,
La fase cronica, può residuare all’apertura spontanea dell’ascesso o dopo la sua incisione chirurgica.
È un breve canale che mette in comunicazione la cavità cistica ascessualizzata con l’esterno attraverso uno o più orifizi situati nel solco intergluteo, o nelle zone circostanti, dai quali fuoriesce liquido sieroso o purulento
L’omissione del trattamento chirurgico soprattutto nella fase cronica fistolizzata, può favorire l’estensione della malattia sia lateralmente verso i glutei, sia verso l’alto o verso il basso fino a coinvolgere tutto il solco intergluteo.
A volte può anche raggiungere l’ano e la zona perianale ed essere erroneamente diagnosticata come fistola anale vera e propria.
DIAGNOSI
La diagnosi è semplice e si effettua con la visita chirurgica.
Per stabilire l’estensione della malattia è sufficiente l’esplorazione del tramite con un sottile specillo.
Nei rari casi di cisti non complicata dalla fistolizzazione l’ecografia dei tessuti molli rileverà la malattia nel tessuto sottocutaneo.
In rarissimi casi si può ricorrere anche alla Risonanza Magnetica Nucleare, utile soprattutto nelle recidive dopo ripetuti interventi.
CURA
La cisti sacrococcigea e soprattutto la fistola sacrococcigea è una patologia di interesse chirurgico e la loro cura prevede pertanto un intervento chirurgico.
Sono descritte due tecniche di intervento chirurgico per la risoluzione della malattia: a cielo aperto e a cielo chiuso.
- La tecnica aperta prevede l’apertura della fistola e l’asportazione della cute e del tessuto sottocutaneo comprendenti il tessuto pilonidale e tutti gli orifizi cutanei ivi presenti.
Alla fine dell’intervento non si appongono punti di sutura a chiudere la cute e la guarigione avviene per seconda intenzione con formazione di tessuto di granulazione che va a colmare completamente la ferita nel giro di 30-40 giorni. E’ una tecnica caduta in disuso proprio per la lunga convalescenza e la necessità di parecchie medicazioni per guarire, il che causa molto disagio al paziente. - La tecnica chiusa consiste sempre nell’asportazione del tessuto comprendente la malattia e nella sutura immediata della ferita. La guarigione avviene più rapidamente (in media due settimane). In alcuni casi può verificarsi la deiscenza con riapertura della ferita e in tal caso la guarigione avverrà come per la tecnica aperta per seconda intenzione.
Le nuove tecnice mininvasicve comparse hanno proprio l’obiettivo di utilizzare la tecnica chiusa garantendo tassi di guarigione aumentati.
Le metodica mini-invasive possono dunque essere applicate a questra chirurgia eseguendo l’asportazione della fistola “step to step”, asportando esclusivamente il tramite fistoloso fino alla sua origine, cioè la cisti.
Per eseguire questo tipo di intervento si può utilizzare una strumentazione semplice o il laser con l’ausilio o meno del fistuloscopio (FILAC, VAAFT).
Prolasso Rettale e multicompartimentale
Condilomatosi, Lesioni HPV
La patologia richiama nella mente un problema che è meglio nascondere così spesso i pazienti giungono a Valutazione Chirurgica – Proctologica solo mesi di sofferenza Fisica e Psicologica. Una Visita può risolvere i problemi ed i dubbi su questa situazione molto diffusa.
Queste neoformazioni cutanee sono dovute ad una infezione da parte di un Virus: il Papilloma (HPV – Human Papilloma Virus). Colpiscono in genere la regione del perineo (Vulva, Ano, Pene) ma possono essere localizzate anche in altre sedi (Viso, Mani, Etc.). Possono essere del tutto asintomatiche o produrre prurito e/o sanguinamento per lo strofinamento. Sono trasmissibili un pò come le comuni verruche, con il contatto diretto, specialmente se la cute bersaglio è in condizioni di infiammazione o erosione.
I pazienti sono spesso spaventati da 2 fattori: come le hanno contratte e se possono essere preludio di tumori.
La contrazione del Papilloma è sicuramente per contatto diretto con qualcuno che porta sulla sua cute il virus del papilloma. E’ però vero che essere portatore del Virus non significa avere delle lesioni evidenti. Inoltre il tempo nel quale da avere il virus sulla cute si sviluppa la lesione evidente non è certo e può richiedere tempo.
Sul secondo argomento le spiegazioni divengono più complicate. Sicuramente alcuni sottotipi del Virus HPV sono implicati nella comparsa di tumori (tumore della cervice uterina, tumore dell’ano), in particolare il 16-18-31-33-35. Questo è il motivo per il quale le donne si sottopongono al PAP Test (per evidenziare precocemente delle mutazioni nelle cellule del collo dell’utero). Nell’uomo e nella donna poi alcune popolazioni sono più a rischio di contrarre il tumore dell’ano (Pazienti che hanno subito trapianto di rene e uomini omosessuali con HIV).
La Condilomatosi, nota anche come “Verruche Perianali” o “Creste di Gallo”, è una patologia cutanea indotta da un virus: lo Human Papilloma Virus, HPV.
Colpiscono in genere la regione del perineo (Vulva, Ano, Pene) ma possono essere localizzate anche in altre sedi (Viso, Mani, Etc.). Possono essere del tutto asintomatiche o produrre prurito e/o sanguinamento per lo strofinamento. Sono trasmissibili un pò come le comuni verruche, con il contatto diretto, specialmente se la cute bersaglio è in condizioni di infiammazione o erosione.
In genere il paziente avverte la crescita di queste verruche o se ne accorge per il facile sanguinamento, spesso attribuendoli ad emorroidi e quindi tralasciando la situazione fino alla comparsa di lesioni di dimensioni aumentate.
Un ruolo importante nel ritardo della diagnosi è il senso di vergogna nel mostrare la parte corporea e/o per quei comportamenti sessuali che vengono stigmatizzati. Negli anni ’50 la diffusione era prevalente nel sesso maschile per la presenza delle “Case di Tolleranza” nelle quali la promiscuità ed i controlli medici carenti inducevano il proliferarsi di contatti tra portatori del virus. Vi è poi stato un calo per poi ripresentarsi negli ultimi 20 anni nei soggetti MSM (Men who Have Sex with Men). Questo ha causato una associazione condilomatosi – omosessualità che oltre che sbagliata dal punto di vista scientifico ha causato una serie di ritardi di diagnosi importanti per i motivi prima esposti.
l’HPV, virus responsabile della Condilomatosi, si è scoperto negli anni essere una famiglia di oltre 100 virus (HPV 1, HPV 2, etc.) dei quali alcuni danno la malattia cutanea, altri sono piuttosto silenti ed altri ancora sono associati alla comparsa di tumore (della cervice uterina nelle donne, dell’ano nelle donne e nell’uomo, in particolare il 16-18-31-33-35). Per questo motivo circa 13 anni fa è iniziata una campagna vaccinale che ha portato alla vaccinazione di tutte le femmine dopo gli 11 anni ed ultimamente anche dei maschi. I dati degli ultimi studi restituiscono una drastica riduzione dei tumori nei soggetti sottoposti a vaccinazione.
Da quanto esposto appare importante come il paziente che avverte la presenza di condilomi o al quale sia fatta la diagnosi non debba solo essere trattato per la rimozione ma valutato complessivamente per proporre un trattamento ed un follow up apposito.
Il trattamento di tale condizione necessita un inquadramento diagnostico mediante valutazione clinica per individuare:
– Tutte le lesioni, spesso presenti in aree poco accessibili dal paziente e se non trattate fonte di reinfezione.
– La possibile correlazione con altre patologie favorenti, la presenza nei partner, etc.
– L’individuazione della presenza di ceppi di HPV particolarmente associati alla formazione di tumori per programmare i controlli succssivi.
– Programmare un trattamento adeguato sia per le lesioni visibili che per scongiurare eventuali recidive.
Il trattamento Chirurgico di rimozione può essere Ambulatoriale o in Day Hospital.
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Incontinenza
Patologia spesso nascosta e ritenuta normale conseguenza dell’invecchiamento e del parto. I pazienti giungono alla nostra osservazione quando diviene grave a tal punto da causare modifiche dei comportamenti sociali.
Una attenta Valutazione Chirurgica – Proctologica può dare informazioni e proporre rimedi molto efficaci e poco invasivi.
La perdita involontaria di feci prende il nome di Incontinenza Fecale.
Spesso è una patologie plurifattoriale ossia dipende da diverse situazioni che si vengono a creare a livello rettale ed anale come conseguenza a patologie (Diabete, Paralisi), a traumi (Parto Vaginale, Incidenti), a pregressi interventi (Emorroidectomie, Ascessi Perianali, Neoplasie del Retto) o terapie (Radioterapia, Farmaci).
La continenza anale è determinata da un lato da un complesso sistema di muscoli che determinano il passaggio delle feci quando il paziente ritiene sia il momento adeguato e dall’altro da una sacca di raccolta delle feci, il retto, che stipa il materiale in attesa del momento adeguato.
E’ una patologia molto invalidante ma spesso tenuta segreta per la vergogna che comporta senza rendersi conto che una adeguata terapia può essere in grado di migliorare la situazione e riportare la persona ad una qualità di vita normale.
L’aumento della potenza della muscolatura sfinteriale e perianale per esempio può migliorare le perdite rettali da incontinenza. Se vengono eseguiti correttamente alcuni esercizi il rafforzamento dei muscoli può aiutare a trattenere i gas e feci.
Esistono poi interventi chirurgici che possono ricostruire la muscolatura (ad esempio trasposizione del muscolo gracile), incrementare meccanicamente la pressione (Bulking e Sfinteri Artificiali) o stimolare la muscolatura (Posizionamento di Elettrostimolatore).
L’intensità dell’incontinenza varia molto e per questo sono state sviluppate delle scale che ci permettono di capire quanto sia di impatto sul paziente e quanto le nostre terapie possano essere efficaci nel ridurre questo fastidioso sintomo.
Mai | Raramente | Qualche Volta | Abitualmente | Sempre | |
Solido | 0 | 1 | 2 | 3 | 4 |
Liquido | 0 | 1 | 2 | 3 | 4 |
Gas | 0 | 1 | 2 | 3 | 4 |
Pannolini | 0 | 1 | 2 | 3 | 4 |
Alterazione Stili di Vita | 0 | 1 | 2 | 3 | 4 |
Scala di Vexner per l’incontinenza fecale (da 0 a 20 punti)
La terapia dell’Incontinenza si basa soprattutto su uno studio approfondito della situazione locale e dell’anamnesi del paziente poichè sono molti i fattori di destabilizzazione della statica pelvica che portano ad una condizione di incontinenza.
Una visita ed una anamnesi accurate potranno evidenziare alterazioni anatomiche in pregressi interventi o terapie locali, prolassi, situazioni acute come ascessi, etc.
Una ecografia può far risaltare lesioni degli sfinteri e prolassi occulti.
Una manometria quantificare la carenza di pressione sfinteriale.
Una colonscopia scopre situazioni collegate quali polipi intestinali, diverticoli, etc.
Uno studio dei tempi di transito quantifica l’associazione con stitichezza, spesso presente.
Solo quando avremo il quadro completo potremo proporre al paziente la soluzione più idonea ed in questo campo la scelta è molto vasta e da affrontare con specifiche competenze perchè non si peggiori la situazione.
Stitichezza ed ODS (sindrome da ostruita defecazione)
Dolori Cronici in “Patologia del Pudendo”
Lichen Atrofico Perineale, PSORIASI PERINEALE, PRURITO ANALE
Il prurito nelle regione genitali è diffusissimo ed i pazienti ricorrono spesso ad automedicamenti rendendo la situazione cronica. Una Valutazione Chirurgica Proctologica può evidenziare i motivi e risolverli in modo completo.
PRURITO ANALE – PRURITUS ANI
E’ una condizione clinica riscontrata molto di frequente che causa una sensazione di prurito nella regione anale e perianale che può estendersi alla regione vaginale o scrotale. I pazienti affetti sono soggetti di varia età e sesso anche se più frequentemente colpisce il maschio di età tra i 25 ed i 55 anni.
Alla base della sensazione del prurito vi sono le fibre sensitive C che vengono stimolate da sostanze quali per esempio l’istamina che vengono rilasciate, tra le altre cose, proprio con il grattamento. Di conseguenza si instaura una patologia a “loop” dove la correzione del sintomo (il grattamento) è anche il trigger del prurito stesso. Bisogna dunque giungere il più possibile vicino alla causa ed eliminarla per interrompere il circolo vizioso che viene instaurato.
Il Prurito Anale è definito secondario quando si possono rintracciare le cause mentre “idiopatico” se al termine delle indagini non si riscontra alcun motivo preponderante che scateni il prurito.
PRURITO ANALE SECONDARIO – PATOLOGIE
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Durante la visita verranno ricercate tutte le patologie e le situazioni favorenti (spesso siamo di fronte a concause) ed il paziente verrà sottoposto ad una visita per valutare l’anatomia della regione e lo stadio delle lesioni che si accompagnano con il Prurito. L’anoscopia terminerà la valutazione clinica.
Eventuali biopsie o tamponi potrebbero essere richiesti per valutare alcune situazioni che lo richiedono.
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TRATTAMENTO
Il trattamento del Prurito Anale sarà rivolto alla risoluzione della situazione sottostante che lo ha causato sebbene all’inizio l’utilizzo di antiprurito come gli Antistaminici e/o i Cortisonici potrebbero alleviare la sintomatologia in attesa della conclusione delle indagini. Il paziente verrà istruito sulle norme igieniche volte a ridurre il prurito (riduzione della frequenza dei lavaggi nei pazienti che ne abusano, utilizzo di biancheria di cotone, pulizia con acqua e comuni saponi neutri, etc.) e verranno consigliate creme protettive (abitualmente contenenti Ossido di Zinco).
CONSIGLI IGIENICI NEL PRURITO ANALE
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Nel caso si ipotizzi una causa idiopatica si indirizza il paziente all’utilizzo di creme con Capsaicina allo 0,006% o Tacrolimus allo 0,03%. Entrambi sono farmaci utilizzati per cicli di circa 1 mese con discreta tollerabilità e buon successo clinico.
Quando il paziente giunge alla nostra osservazione abitualmente ha già abbondantemente abusato di Cortisone visto che è contenuto nella maggiorparte delle creme emorroidarie. Sebbene al momento migliori la sintomatologia il suo utilizzo cronico causa distrofie cutanee con successivo peggioramento della sintomatologia.
Nei casi non responsivi ai trattamenti sopra riportati si può fare ricorso al Blu di Metilene. Il suo funzionamento non è completamente conosciuto ma sembra agisca proprio sulle fibre C riducendone l’attività. Si utilizza diluito con Soluzione Salina, Anestetico addizionato con Adrenalina. Le complicanze più frequenti sono costituite dalla perdita temporanea di muco dall’ano.
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